Che cosa è la tripofobia.Tripofobia per definizione significa “paura dei buchi” ma è abitualmente nota come la fobia dei “patern replicati”
Alcune immagini che riproducono fori ripetuti, aggregazioni di bollicine o celle di alveari, sono in grado di causare un vero e proprio disagio nel tripofobico, sino a provocarne paura e ansia. Addirittura c’è chi ha provato di fronte a certe immagini un attacco di panico o chi si è limitato alla pelle d’oca, o a disturbi visivi come l’affaticamento degli occhi, distorsioni o illusioni ottiche.
Le fobie sono considerate scientificamente una vera e propria avversione irrazionale nei confronti di un qualcosa che le provoca. Difficili da gestire, spesso è necessario l’aiuto di un professionista ed alcune sono molto famose e soprattutto sono note le cause inconsce che le originano.
Per questo motivo sono classificate nel manuale di diagnostica e statistica dei disordini mentali, ovvero l’accreditato “Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders” dell’American Psychological Association.
Una fobia diffusa che scaturisce da un gruppo particolare di immagini
La paura di superfici con i buchi non è stata ancora inserita nel DSM ma a quanto pare è molto diffusa.
Ne è un prova il web dove sono tantissimi i forum sommersi e i siti specifici di persone che manifestano questa fobia descrivendo le rappresentazioni che la scatenano.
Le immagini più temute sembrano essere l’alveare degli imenotteri, l’ingrandimento dei fori dell’arboscello del corallo, alcune disposizioni ripetute di semi e semini, i baccelli del fiore di loto, il formaggio emmentaler e le spugne naturali da bagno.
Uno studio inglese prova a spiegarne l’origine
Una ricerca dell’Università del Kent (Regno Unito) coordinata dal professor Tom Kupfer ha rilevato che questa particolare fobia ha una duplice origine: una repulsione nei confronti dei parassiti, come per esempio le zecche e una avversione alle malattie infettive. I dettagli della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica specializzata Cognition and Emotion.
Lo studio ha riguardato oltre 600 persone, metà delle quali tripofobiche. Queste sono state sottoposte all’osservazione di due modelli di immagini: otto erano immagini tipiche di malattie infettive come vaiolo, morbillo o tifo, mentre le altre otto erano figure che propriamente disgustano i tripofobici, come i fiori di loto, le spugne o i fori del formaggio svizzero.
A tutti i componenti della ricerca è stato chiesto di esprimere le proprie emozioni di fronte a queste immagini. Le figure di parti malate e dei parassiti hanno infastidito tutti i partecipanti, tripofobici e no.
I tripofobici hanno invece provato un disgusto altrettanto potente anche verso le immagini del secondo gruppo, che non hanno provocato alcun effetto nei membri del primo.
L’emozione provata dai singoli individui era principalmente il disgusto e non la paura mentre i tripofobici hanno anche descritto una percezione spiacevole sulla pelle, come quella di essere devastati da parassiti o da qualcosa che strascicava su di loro.
Dal punto di vista psicologico questi segnali, congiuntamente al disgusto, servono a tenerci lontani da un’infezione potenziale, ecco perché più che paura dei fori, secondo il professor Kupfer la tripofobia dovrebbe essere indicata come repulsione a gruppi di patern circolari.
Non esistendo una fobia riconosciuta non esiste neanche una cura ma per superarla sembrerebbe efficace l’esposizione graduale alle immagini che ne scatenano i sintomi. La terapia dell’esposizione è infatti l’unico trattamento attualmente noto per questo genere di fobie.
Articolo curato dalla redazione e realizzato con il contributo di Maria Grazia Melis.
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