(Adnkronos) – Arti bionici funzionanti e senza problemi di rigetto. E' l'obiettivo di una serie di dispositivi nati dal progetto europeo 'BioFine', di cui l’Università di Ferrara fa parte. La strategia "è quella di modificare la superficie di un impianto intraneurale, ossia un dispositivo medico che viene impiantato all’interno dei fasci di nervi per ripristinare un collegamento neurale elettricamente interrotto, cosicché esso possa rilasciare localmente farmaci antiinfiammatori o immunosoppressivi. Infatti, per garantire che la funzionalità dell’impianto rimanga intatta per mesi o anni, gli effetti collaterali chiamati anche “reazioni da corpo estraneo” devono essere ridotti al minimo", sottolineano i ricercatori.  Quindi, lo scopo di 'BioFine', progetto altamente multidisciplinare, e che unisce competenze ingegneristiche, chimiche e biomediche, è quello di mitigare la risposta infiammatoria immuno-mediata che si instaura nel tessuto circostante ad un impianto intraneurale sin dalle prime fasi post-innesto. Queste reazioni avverse producono un vero e proprio incapsulamento del dispositivo all’interno di tessuto fibrotico che peggiora enormemente l’attività elettrica dell’impianto. “In pratica, si andrà a modificare la superficie polimerica dell’impianto, incorporando sistemi molecolari in grado di aumentarne la biocompatibilità, migliorando dunque la durata nel tempo della sua funzionalità elettronica, che costituisce ad oggi un grosso limite ad un possibile utilizzo applicativo", spiega Stefano Carli del dipartimento di Scienze dell’Ambiente e della Prevenzione, che coordina l’unità di Unife. Il progetto di ricerca è finanziato dall’Unione Europea nell’ambito dei programmi di finanziamento 'Horizon Eic 2022 Pathfinder Open', orientati a proposte utili per lo sviluppo di tecnologie innovative emergenti.  "BioFine ambisce a risolvere il grosso limite di applicabilità temporale di queste tecnologie in ambito biomedico e bio-ingegneristico, fornendo soluzioni stabili nel tempo. Così facendo, sarà garantita una migliore qualità della vita ad una grande popolazione di pazienti, fornendo loro possibilità di maggiore autonomia, autosufficienza e serenità", conclude Claudio Trapella, del dipartimento di Scienze chimiche, farmaceutiche ed agrarie, collaboratore nel progetto. Lo studio coinvolge gruppi di scienziati specializzati in diverse discipline provenienti da università europee quali la Chalmers University in Svezia, con il team della Professoressa Maria Asplund, l’Università di Friburgo in Germania, con il gruppo del Professor Thomas Stieglitz e l’Università Autonoma di Barcellona in Spagna, con il gruppo del Professor Xavier Navarro. —salutewebinfo@adnkronos.com (Web Info)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *